La giornata è particolarmente afosa ma la stanza dove mi riceve Don Antonino Guarracino, con il suo abituale solare sorriso, si apre su di una terrazza che rivela il paesaggio tipico della nostra zona, una fuga di agrumeti, la linea dolce delle colline e poi l’ampio orizzonte del mare. E’ sempre un piacere incontrarmi con lui, che ha già festeggiato sessanta anni di sacerdozio spesi a servizio della comunità con un interesse particolare verso la gioventù carottese in qualità di animatore dell’Oratorio di San Nicola e direttore e fondatore dei Pueri Cantores. Inizia il nostro colloquio che riporta la memoria del passato e rivela lontane usanze e interessanti curiosità come quella sul fico, frutto che, nella stagione estiva e all’inizio dell’autunno, è presente sulle nostre tavole. Per rendere più esatta e colorita la descrizione Don Antonino prende dalla sua biblioteca “ Il dolce nido” un lavoro di Don Alfredo Amendola ( che fu il mio docente di italiano e latino al Liceo classico “ P. V. Marone” di Meta ) e me lo porge evidenziando che non è possibile prestarmelo, in quanto è difficilissimo trovarlo e non vuole assolutamente privarsene neanche per un solo giorno. Inizio a sfogliarlo mentre lo ascolto raccontare come i fichi in passato si potevano maturare con anticipo grazie ad un semplice espediente, ampiamente confermato dalla lettura di alcune pagine del capitolo terzo del libro. La voce di Don Antonino mi riporta al 1670 quando a Piano di Sorrento, “Carotto”, il corso era formato da una strada stretta dal fondo di terra battuta, che ad ogni pioggia a dirotto diventava come il letto di un torrente, ed era molto difficile potervi camminare, i signori andavano a dorso di cavallo e di mulo, mentre la gente semplice si rimboccava gli abiti e vi sguazzava dentro, camminando con difficoltà. Il traffico non aveva nessun elemento caotico, non sfrecciavano pericolosi motorini, motociclette rombanti, macchine, tir, pullman, che non danno facile possibilità al povero pedone di attraversare neanche sulle strisce, ma consisteva in qualche carretto agricolo, qualche carrozza, qualche biroccio e per lo più dagli stessi pedoni soprattutto quando era bel tempo. I contadini portavano i loro prodotti nella Gran Piazza, il mercato del paese fino alla seconda metà del secolo scorso, che si riempiva di ceste di frutta dal profumo e dall’aspetto allettante.” Allora sì che si poteva assaporare la sua dolcezza, era tutto un altro mondo. “ sottolinea Don Antonino con un soffio di melanconia nello sguardo. A questo punto leggo un’osservazione dal libro di Don Alfredo ” Se i fichi piacciano tanti agli uccelli e non solo alle fucetole, ma a tutti i passeracei in genere, non piacciono meno agli uomini che, da quando hanno scoperto la loro squisitezza, li hanno sempre coltivati con immutabile amore. Nella penisola sorrentina ve ne sono una discreta qualità ed assai più ve ne erano ai tempi passati, quando gli agrumeti non erano così densi di queste tipiche piante, ma i contadini di quel tempo avevano il buon senso di coltivare quelle che dessero i frutti in ogni stagione, e tra gli alberi preferiti vi erano i fichi, una varietà è chiamata ancora oggi “ fichi del vescovo”, forse perché le prime specie furono piantate in un fondo di proprietà di Monsignor Giuseppe Mastellone, situato alla fine di via Savinola, da dove si diffuse la particolarità di maturazione” .
Pagine: 1 2