articolo di Vincenzo Russo
Dopo gli studi compiuti nella Scuola d’Arte di Sorrento e nell’Istituto d’Arte di Napoli, Giuseppe Rocco ha esordito come pittore, agli inizi degli anni Sessanta, esponendo lavori caratterizzati da un rigoroso impianto compositivo e cromatico e da un’originale rielaborazione di spunti offerti da alcune correnti d’arte contemporanea, quali il cubismo e la pittura metafisica. La nettezza dei colori e l’equilibrata struttura dei suoi dipinti hanno, in seguito, agevolato il passaggio dalla pittura alla tarsia, cioè il passaggio verso una tecnica che si avvale del disegno ed esprime la sua potenzialità creativa accostando toni e forme di legni diversi. Intorno al 1970, volendo sperimentare nuove soluzioni ecimentarsi con quest’arte apparentemente “minore”, Rocco ha scelto di mettere a frutto le competenze acquisite durante il suo apprendistato giovanile nelle botteghe di vari artigiani sorrentini, fra cui quella dello zio paterno Enrico, titolare della cattedra di tarsia presso la Scuola d’Arte di Sorrento. Andando però ben oltre l’artigianato locale, egli ha reso più complesso il proprio itinerario artistico ed ha immesso, nello stesso tempo, straordinaria linfa vitale in un settore produttivo in crisi, mostrando quali potenzialità espressive abbia in sé l’arte del legno e come possa elevarsi fino a raggiungere i risultati della grande tradizione italiana. Fin dai primi lavori ha mostrato, da un lato, evidente interesse per quel “repechage dell’antiquariato portato avanti da artisti del calibro di Del Pezzo, Persico, De Stefano, Blasi” (G. Grassi) e ha manifestato, dall’altro, una particolare tendenza a coniugare senza difficoltà elementi “cubisti”, che appartengono alla sensibilità del nostro tempo, con quelle forme e costruzioni prospettiche che sono i caratteri costitutivi della tarsia rinascimentale. Come nelle creazioni del Quattro-Cinquecento (nicchie configure, armadi con oggetti, vani o porte in prospettiva) le opere di Rocco realizzano infatti un’articolazione continua del piano, che crea l’illusione del pieno e del vuoto, della vicinanza e della lontananza delle cose, ottenendo effetti che non sono generati soltanto dalle diverse sfumature dei legni, ma anche da una concezione rigorosa del volume e dello spazio. Nello stesso tempo motivi “novecenteschi” sono esplicitamente presenti in vari pannelli che mostrano, ad esempio, oggetti del repertorio “metafisico” (manichini, squadre, solidi geometrici, conchiglie, ecc.) dinanzi a uno sfondo di riquadri, dove lo spazio è scandito con effetto tridimensionale dal chiaroscuro delle fasce verticali e orizzontali che si incrociano. In altri casi, la divisione geometrica del piano è operata mediante le linee dritte o spezzate di oggetti disposti intorno a una mensola che regge bottiglie, scodelle ed altre cose di atmosfera “morandiana”. L’arte di Rocco non privilegia però soltanto il gioco dei volumi e il ritmo complesso dei piani e delle linee, ma include anche una diversa tendenza, che usa la natura morta e il paesaggio per portare l’intarsio al limite estremo delle sue possibilità compositive e cromatiche. Nel primo caso, l’attenzione è diretta soprattutto verso la ricchezza dei trofei vegetali e marini della pittura seicentesca napoletana di genere. Nascono così opere che si riallacciano ai modelli straordinari dei Recco e dei Ruoppolo non per compiere un’impossibile e anacronistica imitazione, ma per attuare un’operazione intellettuale di raffinato cromatismo e di assoluta perizia tecnica. Analogamente, le tarsie dei paesaggi hanno come ideali punti di riferimento alcuni vedutisti dell’Ottocento, da Serritelli a Gotzloff, da Duclère a Schedrin. Esse riscoprono gli angoli più suggestivi e gli aspetti ambientali più caratteristici della penisola sorrentina, riuscendo accuratamente ad evitare il duplice pericolo della rappresentazione oleografica e della vana imitazione della pittura. Ricordando il fascino esercitato da intatte bellezze naturali sui viaggiatori stranieri del passato, queste rappresentazioni assumono il tono della rievocazione poetica e costituiscono, al di là del loro scopo decorativo in alberghi o abitazioni private, un “catalogo della memoria”, una riscoperta dei luoghi e dei momenti dell’ “armonia perduta” in un nostalgico viaggio a ritroso nel tempo. La recente produzione di “acrilici”, che risponde al bisogno di usare una tecnica più veloce e immediata rispetto all’intarsio, si pone in stretto rapporto con quella delle opere in legno, dando vita ad una serie di lavori, che, per le loro caratteristiche, costituiscono un insieme di intarsi virtuali, come viene messo in rilievo nel titolo stesso della mostra. Ciò risulta evidente dalle scelte dell’Autore, che privilegiano tratti del costone tufaceo della penisola sorrentina, sfruttando abilmente l’articolazione delle superfici colorate, con risultati che producono in qualche modo un’atmosfera surreale e misteriosa. Pur essendo in armonia con gli intarsi, queste ultime creazioni mostrano legami vitali con la pittura, che l’Autore, nella fase attuale della sua esperienza artistica, recupera per dare nuove ccasioni e più ampie possibilità spressive al proprio mondo poetico.